La lotta antincendio nell’Antica Roma
Gli incendi, così come definiti negli scorsi contributi, sono stati e spesso ancora lo sono un evento traumatico, che ha sconvolto e sconvolge le vite umane e le attività produttive, nonché l’ambiente e il tessuto urbano.
La Roma antica era un luogo soggetta a frequentissimi incendi, come testimoniato dalla copiosissima letteratura pervenutaci.
“Ibat res ad summam nauseam, cum Trimalchio ebrietate turpissima gravis novum acroama, cornicines, in triclinium iussit adduci, fultusque cervicalibus multis extendit se super torum extremum et: “Fingite me, inquit, mortuum esse. Dicite aliquid belli.” Consonuere cornicines funebri strepitu. Vnus praecipue servus libitinarii illius, qui inter hos honestissimus erat, tam valde intonuit, ut totam concitaret viciniam. Itaque Vigiles, qui custodiebant vicinam regionem, rati ardere Trimalchionis domum, effregerunt ianuam subito et cum aqua securibusque tumultuari suo iure coeperunt. Nos occasionem opportunissimam nacti Agamemnoni verba dedimus, raptimque tam plane quam ex incendio fugimus.”
“La faccenda stava diventando nauseante, quando Trimalcione, ormai stordito dalla sbornia, ordina che entri nella sala una nuova banda – questa volta costituita da suonatori di corno – e, stravaccandosi su una montagna di cuscini, si sdraia in fondo al divano, dicendo: «Fingete che sia morto e suonatemi qualcosa di carino». Gli orchestrali attaccano un’assordante marcia funebre e specialmente uno di essi, il servo di quell’impresario di pompe funebri, che era il più rispettabile in quella combriccola, si butta sullo strumento con una foga tale da svegliare tutto il vicinato. E così, i pompieri che erano in servizio in quel quartiere, credendo che la casa di Trimalcione stesse andando a fuoco, sfondano subito la porta e si mettono a fare il loro solito caos a base di colpi di accetta e secchiate d’acqua. E noi, approfittando di quella meravigliosa occasione, salutiamo al volo Agamennone e filiamo via di corsa proprio come se stessimo scappando da un incendio.” (Petronio, Satyricon, LXXVIII, 2-3).
È un celebre passo della paradossale quanto grottesca cena di Trimalcione, personaggio fittizio protagonista di un ampio frammento del Satyricon (reso anche nella grafia Satiricon o Satirae o Saturae) di Petronio, scrittore e politico latino vissuto nel I secolo d.C. In queste parole, l’arbiter elegantiarum introduce sulla scena i vigiles, precursori – come vedremo – della lotta antincendio dell’antichità.
L’appellativo di Petronio come giudice di raffinatezza gli era stato affibbiato durante la sua permanenza presso la corte di Nerone, quest’ultimo a sua volta famoso per essere spesso associato al grande incendio che colpì Roma nel 64 d.C. , frequentemente romanzato ed a volte distorto nel cinema e nell’informazione.
Consultando pregevole letteratura, deduciamo che la lotta agli incendi era affidata nei tempi più remoti ai cittadini stessi in forma privata. Dopodiché intorno agli inizi dell’età repubblicana nel IV secolo a. C., si ebbe una prima forma di organizzazione di un servizio antincendio che venne assegnato ai tresviri capitàles, denominati forse anche tresviri nocturni. A loro vennero affiancati successivamente anche altri funzionari ausiliari, i quinqueviri cis Tiberim.
I tresviri eletti citati sopra formavano dunque una magistratura minore, che assumeva dei compiti in materia di giurisdizione penale, esecuzione delle pene capitali e controllo delle prigioni, ma anche incarichi di pattugliamento delle strade durante la notte.
Anche in questo frangente storico però alcuni cittadini privati continuavano a mettere a disposizione della pubblica cittadinanza, gratuitamente o dietro corrispettivo, delle proprie squadre di schiavi al servizio antincendio, come ad esempio Marco Egnazio Rufo, dissidente di Augusto elogiato nel 26 a.C. in tal senso.
Ciononostante, questa funzione pubblica si rilevò insufficiente a soddisfare appieno il delicato compito, vuoi per carenza di personale, vuoi per scarsità di strutture, ed infatti Augusto nel 22 a. C. assegnò una squadra di 600 servi pubblici agli aediles curules (edili curuli) per questi scopi di lotta al fuoco incontrollato.
Continuando, nel corso del tempo l’imperatore promulgò ulteriori riforme, fra cui quella del 7 a.C. in cui i vigiles furono sottoposti alla giurisdizione dei curatores viarum (ovvero i responsabili della manutenzione della rete stradale). Infine, secondo le fonti antiche, Augusto decise di attuare una completa e profonda ristrutturazione del corpo dei vigiles, nel 6 d.C.
Nel frattempo l’Urbe fu suddivisa in 14 regiones (quartieri) e 265 vici (rioni). A ciascuna regio (quartiere) venne assegnata un magistrato nominato tramite sorteggio, mentre a ciascun vicus vennero associati quattro magistri, eletti ogni anno dagli abitanti della circoscrizione.
Il corpo paramilitare dei vigiles fu dunque diviso in sette cohortes (coorti), formate liberti (cioè soggetti affrancati dalla schiavitù) comandato da un magistrato di ordine equestre – il praefectus vigilum – scelto direttamente dall’imperatore.
Lo stesso princeps al fine di garantire un sufficiente finanziamento per questo strategico ufficio, introdusse una tassa, denominata vicesima libertatis, del 2% sulla vendita degli schiavi.
Comunque sia, ognuna delle sette coorti aveva il controllo di due regioni, collocate in oportunis locis,in una città composta principalmente da insulae, caseggiati il cui materiale da costruzione privilegiato era il legno. i vigiles erano perciò dislocati in una caserma principale, detta statio o castra, ed in un distaccamento (excubitorium)
Una pregevole testimonianza archeologica ci rimane nelle rovine dell’ Excubitorium della VII coorte in Trastevere.
Dunque, ci troviamo di fronte ad un rischio d’incendio che era elevatissimo, e bastava la minima distrazione per dar origine a fiamme libere che intaccavano le strutture di legno (solai, tramezzi e tetti).
L’aumento vertiginoso della popolazione nei secoli finali del periodo repubblicano, in stretta correlazione con la speculazione edilizia del tempo, avevano dato modo di costruire strutture che erano precarie, mancando di un sufficiente distanziamento fra un edificio e l’altro. La summa di tutto questo erano condizioni di sicurezza abbastanza precarie e pericolose.
Una buona stima propone che la milizia in parola abbia accresciuto le sue schiere fino ad includere 7000 uomini impiegati per la lotta contro gli incendi, su una popolazione che contava 1 milione di abitanti circa: 143 vigiles ogni 1000 abitanti.
La spiegazione di questo alto rapporto viene dedotta da un approccio teso più che altro alla prevenzione specialmente durante periodo notturno, per consentire un tempestivo intervento alle prime avvisaglie di incendio, sicuri di non poter far molto di fronte ad un focolaio già attivo.
Oltre ad utilizzare strumenti comuni come ad esempio asce, ramponi, zappe, seghe, pertiche, scale e corde, i vigiles utilizzavano particolari attrezzature come i centones, coperte bagnate usate per spegnere le fiamme o i siphones, ovvero degli idranti con le tubature in cuoio.
Alcuni approfondimenti sull’incendio
Abbiamo evidenziato in precedenza i costituenti dell’incendio, e della sua particolare formazione. Diamo dunque al lettore altri importanti riferimenti, specialmente sulle fasi d’evoluzione di un incendio, che scienza e tecnica autorevole dividono in 4 parti.
Fase iniziale, sulla cui durata incidono diversi fattori come:
- Infiammabilità del combustibile, legata alla natura del combustibile che può essere solido, liquido, gassoso;
- Propagazione della fiamma , dipendente anch’essa dalla natura del combustibile. Ad esempio nel legno è lenta, con un combustibile liquido è più veloce;
- Distribuzione del combustibile nell’ambiente;
- Geometria e volume dell’ambiente.
Estensione, che comporta in primis ridotta visibilità a causa dei prodotti della combustione, con l’eventuale produzione di gas tossici e corrosivi ed un aumento della velocità di combustione, dell’energia e della temperatura di irraggiamento.
Flash over, cioè l’incendio generalizzato i cui effetti principali sono ancora un immediato aumento della temperatura e della velocità di combustione in coordinazione con l’aumento dell’emissione di fumi, gas ed autoaccensione di tutti i materiali combustibili.
Estinzione, conseguente all’accensione completa dei materiali combustibili presenti nell’incendio, esso inizia a rallentare e la temperatura comincia a decrescere fino alla sua estinzione.
Graficamente tutto ciò può essere espresso in un grafico cartesiano, in funzione delle variabili temperatura (in ordinata) e del tempo (in ascissa).
le cause di un incendio possono essere sconfinate; in linea generale possiamo suddividerle banalmente in naturali; accidentali; colpose; dolose.
In natura, eventi come fulmini ed eruzioni vulcaniche possono delle volte provocare incendi; mentre fra le cause accidentali, ricordiamo le più comuni come i cortocircuiti, oppure il surriscaldamento di una apparecchiatura od un motore, cosi come le scintille scaturite da uno strumento di lavoro.
Inoltre, la colposità di un incendio potrebbe nascere dal classico mozzicone di sigaretta o del fiammifero/accendino.
A questo proposito, anche la marmitta catalitica incandescente di un’automobile è virtualmente una fonte d’innesco. Non a caso, nel Codice della Strada (D. Lgs. n. 285 del 30 aprile 1992), e più precisamente nel suo Regolamento di esecuzione ed attuazione (D.P.R. n. 495 del 16 dicembre 1992) questo accadimento è ipotizzato, nonché normato.
L’art. 102 del Regolamento prevede il segnale stradale PERICOLO DI INCENDIO, il quale deve essere impiegato per richiamare l’attenzione degli utenti della strada sul pericolo di infiammabilità delle zone boschive attraversate o contigue alla strada, ovvero in vicinanza di luoghi ad alto rischio di incendio.
In coordinazione con altre segnaletiche verticali, il segnale appena mostrato deve essere corredato da un pannello integrativo appropriato, ovvero:
Un altro discorso è la dolosità di un incendio, cioè quando perpetrata volontariamente proprio con lo scopo di danneggiare, tramite il fuoco, l’incolumità o la proprietà altrui. Nel Codice Penale italiano, l’incendio trova spazio in prima battuta negli articoli 423 e 423 bis, i quali statuiscono:
“Chiunque cagiona un incendio è punito con la reclusione da tre a sette anni. La disposizione precedente si applica anche nel caso di incendio della cosa propria, se dal fatto deriva pericolo per l’incolumità pubblica.” (art. 423 c.p.)
L’articolo seguente dunque dettaglia maggiormente la casistica dell’incendio di tipo boschivo, esprimendosi in questi termini:
“Chiunque, al di fuori dei casi di uso legittimo delle tecniche di controfuoco e di fuoco prescritto, cagiona un incendio su boschi, selve o foreste ovvero su vivai forestali destinati al rimboschimento, propri o altrui, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni.
Se l’incendio di cui al primo comma è cagionato per colpa, la pena è della reclusione da uno a cinque anni.
Le pene previste dal primo e dal secondo comma sono aumentate se dall’incendio deriva pericolo per edifici o danno su aree o specie animali o vegetali protette o su animali domestici o di allevamento.
Le pene previste dal primo e dal secondo comma sono aumentate della metà, se dall’incendio deriva un danno grave, esteso e persistente all’ambiente.
Le pene previste dal presente articolo sono diminuite dalla metà a due terzi nei confronti di colui che si adopera per evitare che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, provvede concretamente alla messa in sicurezza e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi.
Le pene previste dal presente articolo sono diminuite da un terzo alla metà nei confronti di colui che aiuta concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto, nell’individuazione degli autori o nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti.”
Il combinato dei due dispositivi trova poi conforto in dottrina e giurisprudenza, da ultimo anche nelle sentenze della Cassazione Penale che distingue esplicitamente fra “fuoco ” ed “incendio”, in quanto si ha incendio solo quando il fuoco divampi irrefrenabilmente, in vaste proporzioni, con fiamme divoratrici che si propaghino con potenza distruttrice, così da porre in pericolo la incolumità di un numero indeterminato di persone.
Il legislatore continua successivamente a trattare la tematica dell’incendio, sempre nel Codice Penale, con i successivi articoli 424 e 425; tutto l’impianto viene collocato nell’alveo dei delitti contro l’incolumità pubblica, e più nello specifico nei delitti di comune pericolo mediante violenza.
Il danneggiamento seguito da incendio effettivamente viene definito in questo spazio nelle seguenti corde:
“Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste nell’articolo 423 bis al solo scopo di danneggiare la cosa altrui, appicca il fuoco a una cosa propria o altrui è punito, se dal fatto sorge il pericolo di un incendio, con la reclusione da sei mesi a due anni.
Se segue l’incendio, si applicano le disposizioni dell’articolo 423, ma la pena è ridotta da un terzo alla metà.
Se al fuoco appiccato a boschi, selve e foreste, ovvero vivai forestali destinati al rimboschimento, segue incendio, si applicano le pene previste dall’articolo 423 bis.”
Sono anche legiferate specifiche circostante aggravanti, in cui la pena è aumentata se i fatti sono commessi:
- 1) su edifici pubblici o destinati a uso pubblico, su monumenti, cimiteri e loro dipendenze;
- 2) su edifici abitati o destinati a uso di abitazione, su impianti industriali o cantieri, su aziende agricole, o su miniere, cave, sorgenti, o su acquedotti o altri manufatti destinati a raccogliere e condurre le acque;
- 3) su navi o altri edifici natanti, o su aeromobili;
- 4) su scali ferroviari o marittimi o aeroscali, magazzini generali o altri depositi di merci o derrate, o su ammassi o depositi di materie esplodenti, infiammabili o combustibili;
- 5) su boschi, selve o foreste.
D’altro canto, anche il Testo Unico Ambientale (TUA, D.lgs. n. 152 del 3 aprile 2006 ) focalizza il punto sulla combustione illecita dei rifiuti, una piaga sempre più socialmente rilevante ad altissimo impatto ambientale. L’art. 256 bis del menzionato testo legislativo menziona, breviter, le seguenti parole.
- Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata è punito con la reclusione da due a cinque anni. Nel caso in cui sia appiccato il fuoco a rifiuti pericolosi, si applica la pena della reclusione da tre a sei anni. Il responsabile è tenuto al ripristino dello stato dei luoghi, al risarcimento del danno ambientale e al pagamento, anche in via di regresso, delle spese per la bonifica.
- Le stesse pene si applicano a colui che tiene le condotte di cui all’articolo 255, comma 1, e le condotte di reato di cui agli articoli 256 e 259 in funzione della successiva combustione illecita di rifiuti.
- La pena è aumentata di un terzo se il delitto di cui al comma 1 è commesso nell’ambito dell’attività di un’impresa o comunque di un’attività organizzata. Il titolare dell’impresa o il responsabile dell’attività comunque organizzata è responsabile anche sotto l’autonomo profilo dell’omessa vigilanza sull’operato degli autori materiali del delitto comunque riconducibili all’impresa o all’attività stessa; ai predetti titolari d’impresa o responsabili dell’attività si applicano altresì le sanzioni previste dall’articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231. […]”
La lettura di questa parte iniziale dell’articolo in parola è significativa, poiché incardina l’accensione illegale di fuochi anche nell’ambito dell’abbandono dei rifiuti (art. 255), ed in generale nell’attività di gestione non autorizzata dei rifiuti stessi (art. 256), così come nel dominio del traffico illecito di rifiuti (art. 259).
Non solo, viene data specifica rilevanza al ruolo dell’impresa e degli enti in generale, collegando la norma ambientale con la norma amministrativa per mezzo del riferimento alle sanzioni interdittive del D.lgs. 8 giugno, n 231, che qui richiamiamo:
- l’interdizione dall’esercizio dell’attività;
- la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;
- il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
- l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;
- il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
Ovviamente, non si devono nemmeno trascurare, fra le varie cause possibili d’incendio, comportamenti derivanti da disturbi psichiatrici, come ad esempio la piromania, che descriveremo più compiutamente in altro contributo.
Bibliografia ed approfondimenti
- Serra, Simonetta. (2017). L’Excubitorium della VII Coorte a Roma: alle origini del sistema antincendio. In Atti del Convegno Salvate la Storia – Testimonianze di soccorso tecnico e prevenzione incendi nel passato, Istituto Superiore Antincendi, Roma, 21 novembre 2017.
- A.A. V.V. voce Petronio, in Enciclopedia on line, Istituto dell’Enciclopedia Italiana.
- A.A. V.V. voce Satyricon, in Enciclopedia on line, Istituto dell’Enciclopedia Italiana.
- A.A. V.V. voce Trimalcione, in Enciclopedia on line, Istituto dell’Enciclopedia Italiana.
- Le cohortes vigilum: la piaga degli incendi nell’antica Roma, in studiahumanitatispaideia.blog , di Cerato Francesco, pubblicato in data 11 maggio 2022, url: https://studiahumanitatispaideia.blog/2022/05/11/le-cohortes-vigilum-la-piaga-degli-incendi-nella-roma-antica/ .
- Manuale di prevenzione incendi – Corso per i lavoratori incaricati dell’attività di prevenzione incendi e lotta antincendio, evacuazione dei luoghi di lavoro e gestione delle emergenze, a cura del Ministero dell’Interno – Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile – Comando Vigili del Fuoco di Chieti.
- Protezione attiva all’incendio – 2° manuale per l’uso degli estintori, a cura di Gennaro Bozza, Servizio Documentazione e Relazioni Pubbliche del Dipartimento dei Vigili del Fuoco, Roma, 2007.