“L’alluvione ha sommerso il pack dei mobili,
delle carte, dei quadri che stipavano
un sotterraneo chiuso a doppio lucchetto.
Forse hanno ciecamente lottato i marocchini
Rossi, le sterminate dediche di Du Bos,
il timbro a ceralacca con la faccia di Ezra,
il Valèry di Alain, l’originale
dei Canti Orfici – e poi qualche pennello
da barba, mille cianfrusaglie e tutte
le musiche di tuo fratello Silvio.
Dieci, dodici giorni sotto un’atroce morsura
di nafta e sterco. Certo hanno sofferto
tanto prima di perdere la loro identità.
Anch’io sono incrostato fino al collo se il mio
stato civile fu dubbio fin dall’inizio. […] “
Lo stralcio proposto qui sopra deriva da “L’alluvione ha sommerso il pack dei mobili” poesia di Eugenio Montale (Genova 1896 – Milano 1981), inclusa nella sua quarta raccolta di componimenti poetici Satura (1971), ma già pubblicata in precedenza in Strumenti critici (1967).
È un dialogo ideale con la propria moglie, deceduta nel 1963, in cui il poeta genovese pone una riflessione sulla propria identità, sui ricordi e sulla cultura di massa imperante, affiorati in seguito alla distruzione del suo patrimonio librario.
Quel che è più significativo è il periodo di redazione della summenzionata lirica, datata 27 novembre 1966: dunque è oggettivamente chiaro il riferimento all’alluvione di Firenze, ed in generale della Toscana, dei primi giorni di novembre precedenti.
Gli eventi alluvionali del 4 novembre 1966 colpirono duramente non solo la città di Firenze, ma anche Pisa, Pontedera e molte altre zone dell’Italia, restando impresse ancora oggi nella memoria collettiva di molti cittadini toscani e non.
L’episodio in parola non è stato l’unico che ha colpito la secolare storia di Firenze e della Toscana,, poiché il fiume Arno ha dato prova anche nel passato della forza delle sue acque. Solo per citarne qualcuna, sono da ricordare le alluvioni del 4 novembre 1333 e del 3 novembre 1844; una di coincidenza di date (o quasi) che aggiunge maggior drammaticità alla problematica.
In generale, il territorio italiano a causa della conformazione geologica, geomorfologica ed idrografica è altamente vulnerabile a disastri naturali anche di notevole portata causati da fenomeni di dissesto idrogeologico.
Per allargare lo specchio, e attenendosi solamente agli ultimi fatti di cronaca, ritroviamo solide testimonianze nei recentissimi eventi alluvionali dell’autunno 2022 con vittime e danni nelle Marche il 15-16 settembre, seguiti poi il 26 novembre dai fatti accaduti sull’isola d’Ischia.
Con la dizione “dissesto idrogeologico” , il TUA – Testo Unico Ambientale nell’art. 54, comma1 lett. v) intende “la condizione che caratterizza aree ove processi naturali o antropici, relativi alla dinamica dei corpi idrici, del suolo o dei versanti, determinano condizioni di rischio sul territorio”.
Altre definizioni esposte in passato le ritroviamo nei lavori della Commissione Interministeriale per lo Studio della Sistemazione Idraulica e la Difesa del Suolo (Commissione De Marchi, 1970-74) i quali introdussero il dissesto idrogeologico nell’insieme di ”quei processi che vanno dalle erosioni contenute e lente alle forme più consistenti della degradazione superficiale e sottosuperficiale dei versanti, fino alle forme imponenti e gravi delle frane”
Ed ancora, la legge-quadro sulla difesa del suolo (L. 18 maggio 1989, n. 183) e le sue modificazioni successive con maggior incisività statuirono: “fenomeni ricadenti nel dissesto idrogeologico sono l’erosione idrica diffusa e quella profonda (frane), l’arretramento dei litorali (o erosione costiera), le alluvioni, la subsidenza indotta dall’uomo e le valanghe”.
Comunque sia, è evidente il profondissimo impatto ambientale di tale evento, che arriva delle volte a modificare, anche pesantemente, il paesaggio con devastanti impatti su popoli, ecosistemi,flora e fauna.
La Direttiva Alluvioni o Floods Directive – FD
Nel solco della rilevanza pubblica dei fenomeni sopra menzionati, l’Unione Europea ha stabilito precise linee direttrici per la gestione delle alluvioni, tenendo conto anche del fattore di imprevedibilità di suddetti fenomeni naturali.
Il caposaldo della normativa a tal riguardo è sicuramente la Direttiva 2007/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007 , relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni.
La Direttiva in parola è stata importata nel diritto interno italiano con il D. Lgs. 23 febbraio 2010, n. 49 ed in generale l’intero piano legislativo pone come obbiettivo cardine la riduzione delle conseguenze negative di siffatti accadimenti.
Continuando ed interfacciandoci con la normativa, possiamo definire l’alluvione come l’allagamento temporaneo – anche con trasporto ovvero mobilitazione di sedimenti anche ad alta densità – di aree che abitualmente non sono coperte d’acqua.
Ciò include le inondazioni causate da laghi, fiumi, torrenti, eventualmente reti di drenaggio artificiale, ogni altro corpo idrico superficiale anche a regime temporaneo, naturale o artificiale, le inondazioni marine delle zone costiere ed esclude gli allagamenti causati da impianti fognari.
A stretto giro, possiamo riprodurre la definizione di pericolosità d’alluvione, identificata con la probabilità di accadimento di un evento alluvionale in un intervallo temporale prefissato e in una certa area.
Concetto che trova poi naturale collocazione nel rischio d’alluvione, ovvero la combinazione della probabilità di accadimento di un evento alluvionale e delle potenziali conseguenze negative per la salute umana, il territorio, i beni, l’ambiente, il patrimonio culturale e le attività economiche e sociali derivanti da tale evento.
Pertanto, pur rappresentando un fenomeno di origine naturale, le alluvioni possono essere notevolmente avvantaggiate da alcune azioni antropiche, che contribuiscono in quota parte rilevante alla loro probabilità d’accadimento. Portiamo in dote a titolo d’esempio la crescita degli insediamenti urbani, l’utilizzo improprio del suolo con conseguente perdita della capacità di ritenzione idrica ed i ben conosciuti cambiamenti climatici in corso.
Per realizzare i fini summenzionati, il legislatore europeo coordina gli obbiettivi di riduzione del rischio incardinandoli con l’approccio basato sulla suddivisione del territorio in bacini idrografici. A questo punto è chiara la coordinazione di questo impianto normativo con la già menzionata Direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque.
Cos’è un bacino idrografico?
Permettendoci un breve excursus, quest’ultima disciplina citata, oltre agli scopi definiti già illustrati negli altri contributi, introduce l’obbligo di predisporre piani di gestione dei bacini idrografici per tutti i distretti idrografici al fine di realizzare un buono stato ecologico e chimico delle acque e contribuirà a mitigare gli effetti delle alluvioni.
Un bacino idrografico è configurabile come il territorio nel quale scorrono tutte le acque superficiali attraverso una serie di torrenti, fiumi ed eventualmente laghi per sfociare al mare in un’unica foce, a estuario o delta.
L’unione di più bacini idrografici realizza un distretto idrografico, ovvero l’area di terra e di mare, costituita da uno o più bacini idrografici limitrofi e dalle rispettive acque sotterranee e costiere che costituisce la principale unità per la gestione dei bacini idrografici.
Pertanto, i dispositivi delle due normative in parola hanno come punto di contatto la cosiddetta. gestione integrata dei bacini idrografici. Perciò, elaborare i piani di gestione dei bacini idrografici previsti dalla direttiva 2000/60/CE e predisporre dei piani di gestione del rischio di alluvioni della direttiva 2007/60/CE rientrano sono due processi differenti ma in stretta sinergia.
Il piano di gestione del rischio delle alluvioni
Un piano di gestione del rischio delle alluvioni è un fondamentale strumento di pianificazione territoriale, che si articola in più fasi dettagliatamente definite. In sintesi,esso è il risultato finale di più processi consequenziali di valutazione ed analisi, successivamente e periodicamente tenuto sotto controllo e rivalutato in seguito alle possibili modificazioni.
In linea di massima, l’implementazione avviene in tre fasi:
- iniziale valutazione preliminare del rischio di alluvione;
- redazione delle mappe della pericolosità e del rischio di alluvione;
- elaborazione piani di gestione del rischio di alluvione.
Le strategie di mitigazione del rischio
Le strategie di contrasto alle alluvioni ed in generale ai disastri naturali attuate nel passato avevano come scopo il mero contenimento strutturale dei fenomeni alluvionali, trascurando pure gli aspetti della buona pianificazione territoriale e della vulnerabilità delle abitazioni e delle attività produttive.
La Flood Directive nel 2007 ha ricalibrato queste istanze, imponendo un sistema basato sulla gestione del rischio, un tipico atteggiamento che caratterizza in verità molti settori e normative ambientali, sanitarie e della sicurezza.
Le caratteristiche di questo approccio sono modulate su azioni e filosofie di prevenzione, protezione e preparazione.
Come già sottolineato più volte i cambiamenti climatici, a livello globale, generano fenomeni meteorologici sempre più estremi e influiscono sugli ecosistemi e la società: possiamo citare, solo a dirne una, le cosiddette “bombe d’acqua”.
Con questo neologismo di stampo giornalistico, sempre più comune negli ultimi 10 anni, si definiscono quelle precipitazioni intense che possiedono un alto tasso di pioggia caduta. Deriva dall’inglese cloud (‘nuvola’) e burst (‘esplosione’).
Dando alcuni riferimenti numerici, il numero di persone esposte al rischio di alluvione è aumentato del 114% a livello mondiale tra il 1970 e il 2010, mentre in Europa, alcuni autorevoli studi stimano che le perdite annuali da inondazioni possano quadruplicare, passando da 4,9 miliardi a 23,5 miliardi di euro entro il 2050.
L’Italia è uno dei Paesi europei più esposti a disastri naturali che arrecano danni ingenti al patrimonio pubblico e privato. Dal 1967 al 2016, viene stimano da pregiata letteratura che calamità come terremoti, frane e inondazioni abbiano causato oltre 6.700 vittime e centinaia di migliaia di sfollati.
In ultima battuta, la spesa pubblica per emergenza, ripristino e ricostruzione in Italia è calcolata in 240 miliardi di Euro tra il 1944 e il 2012 (una media di circa 3,5 miliardi di Euro all’anno), di cui 20 miliardi di Euro nel solo periodo 2010-2012.
È evidente, solo da una visione superficiale di questi dati estrapolati da autorevole letteratura, che le alluvioni sono e diventeranno un problema sempre più rilevante per le generazioni future.
Dunque sono essenziali le programmazioni sia di interventi ex- ante di prevenzione e preparazione, sia ex – post all’evento alluvionale di tipo risposta e recupero. Nel dettaglio:
- Prevenzione, comprende strategie intraprese in anticipo, ovvero approcci di tipo ingegneristico e tecnico, e la pianificazione territoriale;
- Preparazione, include una serie di azioni volte a informare e preparare le comunità in caso di emergenza, la mappatura del rischio e le attività di monitoraggio ed allarme;
- Risposta, comprende le attività di assistenza e di intervento messe in atto durante o immediatamente dopo un’emergenza, al fine di salvare vite e proteggere i beni della comunità;
- Recupero, si tratta di un processo coordinato di sostegno delle comunità colpite dall’emergenza che comprende la ricostruzione di infrastrutture e abitazioni danneggiate, nonché il ripristino del benessere emotivo, sociale ed economico.
Le prospettive di azione per mettere in atto i 4 punti sopracitati sono di diverso tipo.
- Approccio tecnico – ingegneristico, relativo alla costruzione di adeguate infrastrutture di prevenzione come serbatoi, argini, bacini di espansione, dighe, scolmatori; predisporre la messa in esercizio di sistemi di monitoraggio ed allarme.
- Approcci finanziario – economici, rafforzando maggiormente gli strumenti di assicurazione e riassicurazione contro il rischio, in verità abbastanza limitati sul territorio italiano.
- Approccio legislativo – regolatorio, improntato verso politiche più restrittive che impediscano la costruzione di nuovi edifici e implichino l’esproprio di quelli già costruiti. In Italia, nonostante l’esistenza di stringenti norme e vincoli di edificabilità, molti decessi sono causati dalla loro mancata osservanza.
Un’ulteriore ottica interessante per affrontare le sfide ambientali potrebbe implicare soluzioni basate sulla rinaturalizzazione, ossia quel processo creato per ristabilire le condizioni naturali presenti prima degli interventi di urbanizzazione, come ad esempio la riqualificazione dei bordi d’acqua.
In ultima istanza, non sono trascurabili idonee strategie di comunicazione e campagne informative rivolte agli amministratori locali e alla popolazione, che in molti casi non è consapevole dei potenziali rischi a cui è esposta.
Comunicazione del rischio
Spendiamo qualche parola proprio sulle ultimissime riflessioni esposte nelle righe finali del paragrafo precedente.
La figura mostrata indica visualmente la prospettiva comunicativa della gestione del rischio dei disastri naturali. Una criticità non di poco conto è infatti la produzione scientifica di una vastissima gamma di studi transdisciplinari che però delle volte non viene tramutata in processi decisionali concreti.
In altre parole, i risultati della ricerca scientifica spesso non sono in coordinazione con le scelte ed i programmi politici, creando così pochi o nulli punti di contatto fra le due sfere d’influenza. È comprensibile pertanto come questo divario fra la comunità scientifica e la dirigenza politica possa essere esasperato poi in situazioni di incertezza decisionale ed in caso di conflitti.
In vero è presente un altro punto di vista, ovvero la questione relativa alla diffusione della conoscenza scientifica in materia al vasto pubblico, per aumentare la consapevolezza dei rischi e dei danni provocati dalle alluvioni ed in generale dai disastri naturali.
Questo è possibile e realizzabile tramite appropriati canali di comunicazione, molto facilitati in questi tempi dalla diffusione dei social network.
Riassumendo, sono importanti, come mostrato nello schema precedente, il dialogo ed il confronto fra i vari stakeholder (portatori d’interesse) che possono essere i ricercatori di varie discipline, il settore pubblico e quello privato, la popolazione. Tutto ciò stretto connubio con la creazione della conoscenza, basata sulle 4 istanze di raccolta dei dati, definizione dei metodi per elaborarli fino ai processo di trasferimento e comunicazione delle informazioni.
Infine, questa ragnatela di interrelazioni vanno implementate in ognuna delle 4 fasi della mitigazione del rischio, elaborando così un mosaico utile a tutte le parti in gioco, nell’obbiettivo del benessere collettivo e personale, nonché della sicurezza e salute pubblica.
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